Attacco al Pentagono: perchè non regge l'ipotesi missile

di Enrico Manieri - Henry62
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English translation of this post is avaiable here.
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Da qualche tempo a questa parte stanno tornando in auge alcune teorie "alternative" che, sia per il Pentagono che per l'attacco al World Trade Center, vorrebbero escludere la presenza di aeroplani dirottati.
Si tratta delle teorie note come "no-plane"; inutile sottolineare l'assurdità di questa ipotesi nel caso delle Torri Gemelle, tante sono le testimonianze e le evidenze raccolte e il solo sostenerle credo basti ad inquadrare il livello demenziale di queste affermazioni.
Nel caso del Pentagono il discorso è invece diverso e merita di essere approfondito.
Se si esclude la presenza di un aeroplano, l'alternativa proposta è invariabilmente quella del missile, visto che il camion bomba non è assolutamente proponibile per evidente mancanza del benchè minimo segno che possa indicare tale tipo di attacco.

In realtà qualcuno sostiene l'ipotesi "alternativa" che il Pentagono sia stato effettivamente colpito da un aereo, ma che questo non fosse il Volo AA77 ma un drone o un aereo di minori dimensioni: comunque sia, questa ipotesi prevede comunque l'impatto di un aereo e quindi non può essere fatta rientrare nel concetto delle teorie "no plane" e per il momento non ce ne occupiamo.

La teoria del missile, dopo un periodo di appannamento dovuto alla netta presa di posizione di parte del movimento americano per la ricerca della verità sull'11 settembre, secondo il quale l'assenza di chiare prove audio/video dello schianto di AA77 non sarebbe altro che un sinistro imbroglio organizzato dalle stesse autorità americane per poter assestare un colpo da ko all'intero movimento quando i tempi fossero maturi (per esempio rilasciando nuovi filmati o immagini, o forse mostrando in un hangar i resti di AA77), ha trovato rinnovato vigore e sostenitori dopo il discorso del "leader massimo" cubano, l'ottuagenario Fidel Castro che, dato più volte per morente, è invece risorto dalle sue ceneri come l'araba fenice per lanciare la sua accusa al Governo americano di avere architettato una grande operazione criminale con enorme copertura mediatica, per nascondere quello che per lui è solo un colpo di stato.
Al Pentagono, Fidel Castro ne è certo, nessun aereo si è mai schiantato, ma è stato impiegato un missile, di cui gli arsenali americani abbondano.
Vediamo allora di valutare questa ipotesi, che mi vede completamente in disaccordo, perchè non solo non esistono evidenze a supporto dell'ipotesi missile, ma ritengo esistano numerosissime prove che consentono addirittura di escludere tale ipotesi.

Preciso fin da ora che la mia attenzione non si concentrerà sulle caratteristiche delle singole tipologie di ordigni presenti nell'arsenale americano o sulle sigle di acronimi che individuano le diverse tipologie di missile e profilo di volo, che vengono ben trattati da siti specializzati cui rinvio, ma mi soffermerò sulle principali evidenze della scena del reato che ci consentono di escludere completamente l'ipotesi missile nell'attacco al Pentagono.
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Vediamo prima di tutto l'unica caratteristica di un attacco missilistico che vorrei approfondire: l'angolo del profilo di attacco al bersaglio.
Ho recuperato in rete alcune immagini di sequenze video riprese da speciali telecamere ad altissima velocità di ripresa, utilizzate durante lanci di test in poligoni militari americani, perchè credo che siano più utili di molte parole.
Vediamole subito.
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- PROFILO DI ATTACCO VERTICALE -
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- PROFILO DI ATTACCO ORIZZONTALE -
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- EFFETTI SUL BERSAGLIO -

Dalla semplice osservazione delle immagini si capisce che il missile non è concepito per esplodere all'impatto contro il bersaglio, che nel test era costituito da una struttura in cemento rinforzato, ma deve penetrare all'interno della struttura resistente, sfondandone il guscio corazzato, per poi detonare al suo interno, generando un gradiente barico e termico che amplifica i propri effetti proprio in virtù della resistenza offerta dalla struttura colpita.
Nella pratica, lo sfondamento avviene per effetto dell'energia cinetica del missile e per la presenza di penetratori in acciaio e, recentemente, in titanio, che racchiudono la carica di esplosivo.
Al momento dello scoppio l'intera struttura è violentemente sollecitata dall'interno verso l'esterno e ciò avviene per la detonazione della carica esplosiva, portata dal corpo del missile, oltre alle eventuali munizioni presenti all'interno del bersaglio.


Quanto affermato è ben evidente nella seguente immagine, in cui si può vedere come l'intera struttura sia contemporaneamente coinvolta in tutte le direzioni con la stessa intensità.


E' chiaro che gli effetti dell'esplosione saranno tanto maggiori quanto minore è il volume interno al bersaglio e minori le vie di sfogo della sovrapressione.
Un'esplosione in un luogo aperto realizza minori effetti dirompenti dell'esplosione della stessa carica in un luogo chiuso.

Le asimmetrie dei diversi macro-effetti visibili, quindi, non sono legate alle direzioni delle sollecitazioni, quanto, piuttosto, alla diversa resistenza offerta dai materiali e al disegno della cavità interna in cui avviene l'esplosione.

L'esplosione di una carica convenzionale da demolizione avviene comunque secondo sommari criteri di simmetria, legati in buona parte alla forma della carica e alla resistenza del contenitore, ma in ampi spazi questi effetti non hanno in pratica un ruolo individuabile con certezza rispetto all'entità delle distruzioni operate.

Da un punto di vista teorico, viste le velocità di detonazione degli esplosivi ad alto potenziale, possiamo modellizzare in prima approssimazione l'esplosione di una carica di questo tipo con la detonazione di una carica puntiforme statica che sviluppi i suoi effetti nello spazio con geometria sferica.

Per particolari applicazioni, come per esempio l'intercettazione di bersagli aerei in rapido avvicinamento, sono state sviluppate delle cariche per missili che presentano una distribuzione direzionale degli effetti prodotti dall'esplosione (distribuzione delle schegge e onda di pressione): lo scopo di queste cariche, che sfruttano sia particolari geometrie dell'esplosivo che sistemi elettronici di innesco multiplo, è di massimizzare gli effetti distruttivi nella direzione desiderata, riducendo la dispersione spaziale del gradiente barico e, soprattutto, delle schegge realizzate da preintagli o da elementi ad alta densità appositamente inseriti nella porzione esterna del contenitore della carica.

Questa esigenza deriva dalla necessità di minimizzare il peso della carica (riducendo così il peso totale del missile, fattore che consente di aumentare l'agilità del vettore nell'eseguire le correzioni di rotta e nel contempo consente un notevole aumento della velocità massima raggiungibile, con conseguente diminuizione del tempo di volo per l'ingaggio della minaccia).
Le cariche direzionali sono quindi pensate o per essere utilizzate con bersagli puntuali (nel qual caso lo scopo è di concentrare su una piccola superficie gli effetti dell'esplosione, per superare la resistenza del bersaglio e consentirne la distruzione - caso tipico dello sfondamento di una corazza), oppure per creare muri di schegge e zone di alta pressione in determinate porzioni dello spazio, in direzione non allineata con l'asse del missile (tipica, per esempio, l'applicazione di cariche direzionali che esplodono in direzione normale alla traiettoria, destinate a colpire un bersaglio mentre il missile lo affianca).

La presenza di una carica direzionale non significa affatto che gli effetti dell'esplosione, specialmente se questa avviene in un luogo chiuso, siano nulli nelle altre direzioni dello spazio.
L'esplosione, di fatto, è un fenomeno di tipo istantaneo, che innesca successivi fenomeni meccanici di impatti ripetuti da parte di proiettili secondari che traggono la loro energia cinetica dall'impulso di forza ricevuto al momento dell'esplosione.
Le traiettorie di questi proiettili secondari sono un fascio di rette convergenti nel punto dove è collocata la carica.

Il modello di prima approssimazione, naturalmente, si ferma al momento in cui le onde bariche impattano contro la struttura resistente, perchè a quel punto la reazione della struttura non può più prescindere dalle reali caratteristiche del mezzo e delle strutture impattate (gradiente barico e termico, resistenza e resilienza dei materiali, tipologia ed omogeneità degli stessi, presenza o meno di zone di discontinuità fra gli elementi resistenti, risposta impulsiva dei materiali all'urto).
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I modelli per studiare i fenomeni impulsivi sono molto complessi, proprio perchè non possono essere approssimati da funzioni derivabili (per definizione una funzione, perchè possa essere derivabile, deve essere continua, ma ciò rende impossibile l'uso di simili funzioni per approssimare fenomeni impulsivi, che per definizione non sono continui. Si deve ricorrere a sistemi di calcolo avanzati e comunque approssimati, normalmente affrontati in corsi superiori di analisi matematica o negli insegnamenti di metodi matematici per l'ingegneria).
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Non è certamente il caso di entrare nel merito di questi modelli, perchè il problema sarebbe veramente arduo da definire e richiederebbe una solida fase di sperimentazione, ma comunque è sufficiente, ai nostri fini, tenere ben presente che la detonazione di una carica principale è sostanzialmente omnidirezionale ed ha lo scopo di scardinare dall'interno la struttura resistente, generando quanti più proiettili secondari (schegge, oggetti colpiti che a loro volta colpiscono altri oggetti) animati da elevatissima energia cinetica, oltre a picchi pressori e termici in grado di mettere fuori combattimento personale e apparecchiature.

Non dimentichiamo poi che i fenomeni ondulatori, essenzialmente di tipo barico, sono fortemente influenzati anche dai tipici fenomeni di riflessione e rifrazione.
La direzione del moto del missile, invece, non influenza particolarmente la modalità di scoppio, dato che i tempi in gioco dal primo impatto sono veramente esigui.

In genere, l'analisi delle traiettorie dei proiettili secondari consente agevolmente di individuare il posizionamento della carica all'atto dell'esplosione, da identificarsi col vertice proprio del fascio tridimensionale delle traiettorie dei proiettili secondari.
Banalizzando molto, il missile è solo un vettore che porta una bomba all'interno di un bersaglio.
La modalità verticale o orizzontale di attacco al bersaglio è scelta solamente per facilitare questo compito del missile: realizzare la penetrazione del bersaglio e "depositare" una bomba, che poi esplode. .

Quanto affermato è macroscopicamente evidente se si osservano i fotogrammi finali delle due sequenze di immagini sopra riportate, in cui gli effetti dell'esplosione sono di fatto indistinguibili a fronte di attacco orizzontale o verticale, perchè gli effetti dello scoppio sono i medesimi, cambiando solamente il percorso con cui la carica viene depositata all'interno del bersaglio.
E' evidente che la mia è una semplificazione piuttosto grossolana, ma di fatto ci consente di capire che la scelta dell'angolo d'attacco non dipende da considerazioni tecniche del vettore, quanto piuttosto da imposizioni tattiche del tipo di bersaglio (target di superficie oscurato o meno da altri edifici, per esempio), oppure da necessità operative (colpire sedi poste sotto il livello del suolo, come nel caso di bunker sotterranei di comando) e dalle particolarità costruttive del bersaglio (presenza di zone deboli come prese d'aria).

Un'altra possibile variabile da tener presente è che il profilo di volo del missile influenza in modo notevole l'effetto sorpresa e la capacità del bersaglio di reagire in maniera preventiva: per questo motivo i missili da crociera sono normalmente del tipo terrain-following, cioè volano a bassa quota dal terreno seguendone le asperità secondo mappe computerizzate presenti nel sistema di guida. Questo profilo di volo consente di sfruttare la morfologia dei luoghi per sfuggire al rilevamento radar e ad eventuali sistemi di difesa di punto.

Di fatto, su un normale edificio non corazzato, gli effetti di esplosioni legati a missili sono ben evidenti, come si può vedere nella famosa immagine della casa di Milosevic colpita da missili di questo tipo.

Questa immagine ricorre spesso nei post che analizzano i danni del Pentagono, il più delle volte "interpretata" in modo forzato per sostenere ipotesi precostituite.
Cerchiamo di analizzarla insieme in modo corretto per vedere di individuare alcuni punti che potrebbero risultare utili in una successiva indagine di quanto avvenne al Pentagono.
Innanzitutto, è evidentissimo l'effetto di esplosione all'interno del bersaglio.

Si osservi l'effetto sul cornicione, che si "gonfia" verso l'alto e verso l'esterno, poi si noti come è stata proiettata verso l'esterno della facciata la colonna amputata della loggia, la mancanza del soffitto e del tetto che è esploso verso l'alto (si osservi a tal fine, il bordo della soletta che ha ceduto ed il rigonfiamento verso il basso del soffitto del porticato).

Il missile è penetrato facilmente nelle strutture murarie ed è andato ad esplodere nelle stanze sul retro, che sono state completamente devastate dall'onda d'urto e le cui pareti non portanti sono state completamente abbattute verso l'esterno (pareti certamente più deboli che, col loro crollo, hanno creato ampie vie di sfogo verso l'esterno del picco pressorio).

Le macerie sono state proiettate ad una certa distanza dall'edificio in tutte le direzioni, compatibilmente con l'esistenza di ostacoli interni alla propagazione delle sollecitazioni: certamente la dislocazione delle macerie non è dovuta al solo crollo verticale.
La prova però più interessante è quella meno evidente: osservate lo spigolo della casa sulla sinistra della loggia colpita, in particolare le corrispondenze fra le sbrecciature dello spigolo interno (più lesionato) e quello più esterno.

La sbrecciatura di entrambi gli spigoli evidenzia chiaramente che sono stati colpiti dall'interno della loggia verso l'esterno, con un fronte di onde di pressione e proiettili secondari che si è andato allargando (quindi con energia via via calante) man mano che si allontanava dalla loggia: ciò significa che le sollecitazioni erano rivolte dall'interno dell'edificio verso l'esterno.
Altre prove sarebbero rilevabili se si avesse a disposizione un'immagine più definita, ma già queste sono sufficienti per poter affermare quanto scritto senza tema di smentita.
Vediamo ora di capire, almeno sommariamente, come è fatto il Pentagono nella zona impattata.
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- STRUTTURA DEL PENTAGONO -
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Per poter inquadrare l'analisi che segue, è opportuno riassumere brevemente alcune caratteristiche costruttive del Pentagono.
Si tratta di un edificio costruito su cinque piani fuori terra e almeno due piani sotterranei (anche se non tutte le informazioni in merito sono affidabili, per ovvi motivi di segretezza), edificato in tempi rapidi (1941-1943) nel corso della Seconda Guerra Mondiale, con una struttura in cemento armato particolarmente resistente, impostata su pilastri in cemento armato rinforzati da struttura elicoidale in acciaio a racchiudere il nucleo con le armature in tondino di acciaio.
Osservato dall'alto, appare composto da cinque anelli concentrici pentagonali, identificati dal più interno al più esterno, con le lettere dell'alfabeto dalla A alla E, ma dal punto di vista costruttivo è stato edificato per ali indipendenti.

Sfruttando l'ampia estensione orizzontale ed il limitato numero di piani, i lavori di costruzione marciarono spediti perchè vennero iniziati e condotti in contemporanea sulle diverse ali, ciascuna delle quali si raccordava alle contigue tramite zone di espansione, che garantivano anche una adeguata risposta strutturale dell'edificio alle variazioni termiche.
Se visto a volo d'uccello, il palazzo si compone di 5 anelli pentagonali concentrici, mentre, visto in sezione, gli anelli distinti si riducono a due, dato che si evidenzia un primo blocco più esterno (anelli E-D-C) compatto per i primi due piani e quindi diviso per i tre piani superiori, quindi un corridoio carrozzabile a livello del suolo ("A-E Drive") e poi un secondo corpo che dal secondo piano si differenzia negli anelli più interni (B-A).


La struttura portante verticale delle ali del palazzo si compone di pilastri, riconducibili a tre tipologie costruttive, caratterizzate da 6, 8 e 10 tondini verticali a costituire l'armatura del nucleo centrale, attorno al quale si avvolge la spira di acciaio di irrobustimento, il tutto riempito di cemento.
Il piano terra è essenzialmente costruito con pilastri formati da 8 oppure da 10 tondini, mentre i piani superiori hanno tipicamente pilastri di 6 tondini.


Possiamo osservare ciò che resta di questa particolare armatura metallica in un moncone di uno dei pilastri abbattuti del Pentagono:


Agli estremi del pilastro, l'armatura metallica si connette con le solette, andando a realizzare così un complesso caratterizzato da grande robustezza, rigidità e capacità di carico, sia a compressione che a taglio.
L'immagine che segue mostra proprio i danni subiti dal pilastro 3L nella zona di raccordo con la soletta superiore, che nello specifico è il soffitto del piano terra ("first story", secondo la nomenclatura americana) e pavimento del primo piano ("second story").

La struttura di un pilastro può quindi essere schematizzata in questo modo:


dove si può constatare la robustezza del tutto e le modalità di incastro dei vertici del pilastro nelle strutture orizzontali, che a loro volta sono particolarmente robuste ed incentrate su una struttura a reticolo di travi ed elementi in cemento armato.
Nella tavola che segue si può vedere la composizione schematica di una soletta:

In unione con la vera e propria selva di pilastri che la sorregge, la soletta è un elemento orizzontale di grande resistenza ma di spessore modesto ma che ha comunque avuto un ruolo molto importante nella resistenza dell'edificio all'attacco.
A racchiudere questa struttura c'era una facciata composita in cui a 6 pollici di "Indiana limestone", una pregiata pietra sedimentaria utilizzata come finitura esterna, seguivano 8 pollici di mattoni da costruzione e quindi 10 pollici di calcestruzzo in coincidenza dei pilastri.
Le finestre erano, nella zona rinnovata in cui si è verificato l'attacco, del tipo anti-esplosione, del peso di 1.600 libbre ognuna, con parti trasparenti dello spessore di 1,5 pollici, montate su serramenti in acciaio a loro volta supportati da montanti in acciaio raccordati alle solette, a creare un altro insieme di grande robustezza.


La parte muraria interna inglobava anche un leggero strato di kevlar, annegato nell'intonaco, per garantire una migliore resistenza del muro sia alla penetrazione dall'esterno di schegge o proiettili di arma portatile, sia a garanzia di una minore proiezione di macerie verso l'interno a seguito di un urto sulla facciata esterna (proiettili secondari che, in presenza di urto esterno, si distaccherebbero anche in assenza di perforazione diretta).

Per quanto riguarda una descrizione dei danni subiti dall'edificio, rinvio a questo mio precedente articolo, in cui ipotizzo anche una ricostruzione degli eventi legati all'attacco.
In questa immagine vediamo come si presentava il lato a sinistra del foro principale di ingresso della facciata subito dopo l'attacco e prima del collasso della parte colpita.

Prima del crollo della facciata, quindi, i danni riportati e documentati nel rapporto stilato dall'ASCE sono schematizzabili nella seguente figura, in cui si evidenzia la porzione di facciata che risultava sfondata.

Le figure seguenti sintetizzano il livello dei danni riportati all'interno dell'edificio dai singoli pilastri.

Piano terra ("first story"):

Primo piano ("second story"):

Osservando in pianta la zona del piano terra, quella più direttamente interessata dall'impatto, si nota come i danni siano localizzati lungo un fascio di direzioni preferenziali che sono di fatto allineate con la direzione di provenienza dell'aeromobile.
Addirittura alcune colonne interne, abbattute ma ancora connesse alla base, mostrano la stessa inclinazione rispetto alla facciata.

Già questa considerazione, alla luce di quanto precedentemente illustrato parlando dei missili, deve far nascere forti dubbi sulla possibilità che le distruzioni del Pentagono siano riconducibili ad una esplosione interna al palazzo. Si veda anche questo articolo di Mother.

In caso di esplosione, il quadro atteso sarebbe di distruzioni che, dal punto di esplosione, si irradiano in tutte le direzioni, creando una zona di danno equivalente (cioè danno di pari livello) sostanzialmente sferica (circolare nella proiezione in pianta), con traiettorie principali (effetti sostanzialmente di pressione) e dei proiettili secondari (effetti meccanici di corpi a loro volta colpiti da effetti principali) appartenenti ad un unico fascio, avente vertice proprio nel punto di esplosione.

Altro elemento molto "sospetto" per una esplosione di origine missilistica, oltre all'individuazione di un fascio di traiettorie principali di distruzione, è la progressiva riduzione della zona danneggiata secondo una forma grosso modo conica molto allungata, che è in netto contrasto con quanto nella realtà si riscontra nelle esplosioni provocate da missili.

Considerando che il livello di distruzione è a grandi linee associabile al livello di energia ceduto alle strutture, risulta molto difficile pensare che un'esplosione omnidirezionale possa dare origine, in un edificio con ampi spazi interni equivalenti ai fini della resistenza strutturale, ad un tramite molto allungato e a sezione in pianta praticamente triangolare, in cui gli effetti energetici si vanno attenuando solamente in una direzione preferenziale, senza manifestazioni al di fuori di quella zona interessata.
Già questi due aspetti, da soli, escludono completamente la possibilità che il Pentagono sia stato colpito da un missile, ma se poi consideriamo anche che le solette sono rimaste sostanzialmente intatte, senza crateri nè nel pavimento nè nel soffitto, la teoria dell'esplosione di un missile diviene assolutamente inconsistente.

A tal fine, basta osservare le seguenti immagini, da cui è evidente che le solette, ove mostrano cedimenti, non sono state interessate da esplosioni di esplosivo ad alto potenziale, ma solamente da sollecitazioni localizzate provocate da effetti di leva del pilastro più vicino che, sotto sforzo di taglio, ha "scardinato" l'integrità dell'elemento orizzontale.
Vediamo qualche esempio di questi cedimenti localizzati.

Pavimento del primo piano:

Soffitto del piano terra:


A queste considerazioni si potrebbe obiettare che, in realtà, ci si stia riferendo alla zona che non è stata interessata dal crollo strutturale e che nella zona del crollo le cose potevano essere andate diversamente, ma non è così, perchè l'evidente asimmetria dei danni rispetto alla zona collassata è comunque una prova di elevata direzionalità dell'offesa arrecata all'edificio e questa, per sua natura, è incompatibile con l'effetto di un'esplosione di esplosivo ad alto potenziale.
Altro elemento da considerare è lo stato in cui sono state rinvenute le macerie.
Lungo il percorso del tramite le macerie erano disseminate casualmente, sia per pezzatura che per densità, e ciò risulta difficilmente compatibile con l'effetto impulsivo di un'esplosione: mi spiego meglio, perché questa osservazione è più frutto di esperienze empiriche che di modelli matematici.

Solitamente la zona in cui avviene uno scoppio appare sgombra, una sorta di radura, perchè per effetto della rapida espansione dei gas si ha uno spostamento molto violento di tutto ciò che viene colpito dall'esplosione.
Questo impulso è istantaneo e nella pratica comporta che gli oggetti di forma e densità simile abbiano la medesima forza viva e si vadano a collocare ad una certa distanza all'intorno del punto dell'esplosione: difficilmente si vede un "tappeto" di rottami di diverse forme, peso e densità fra loro mescolati a distanze variabili dal punto di ipotetica esplosione.

Osserviamo questa immagine:


Si tratta del "corridoio" di distruzione che sfocia nel punch-out, cioé della zona terminale del tramite apertosi all'interno del piano terra dell'edificio.

Teoricamente in questa zona avrebbero dovuto verificarsi degli effetti barici tanto potenti, generati dalla stessa esplosione che avrebbe avuto origine poco dopo la penetrazione nella facciata del Pentagono, da abbattere il muro posto in fondo, ma che avrebbero lasciato il terreno ingombro di macerie che, evidentemente, per essere collocate dove sono, avrebbero resistito meglio del muro più distante al "vento" provocato dall'esplosione.

La cosa mi sembra del tutto improponibile e, osservando la collocazione dei rottami in prossimità dei pilastri, è evidente che si è trattato di un effetto puramente meccanico di una massa di rottami che si sfaldava man mano che procedeva all'interno del palazzo, preceduta da quegli elementi caratterizzati da maggior massa e densità, che hanno svolto il ruolo di apripista, provocando un percorso di distruzione in cui si è incanalata, come una valanga, la massa di rottami che seguiva.

Questa immagine ben documenta l'affermazione precedente:


Il pilastro antistante è stato completamente distrutto, si può vedere il moncone pendere dal soffitto, quelli immediatamente prossimi mostrano danni notevoli, ma sul terreno c'è uno spessore elevato di macerie di piccole dimensioni e massa ridotta che ingombrano il percorso: chi le avrebbe portate e lasciate in quella posizione?

Non certamente un'esplosione tanto potente da distruggere completamente un pilastro e danneggiare quelli vicini.

E' logico invece pensare che le macerie sono arrivate dopo il primo effetto distruttivo, animate da minore energia cinetica, e ciò spiega perchè una lamiera possa restare davanti ad un pilastro di cemento armato piegato e disarticolato.
Quale forza serve per svolgere un tale lavoro su un pilastro?
E' possibile pensare che ciò sia avvenuto per effetto di una singola esplosione?

Che cosa ha portato, in un secondo tempo, la macerie contro i pilastri e come mai queste macerie sono tutte appoggiate su un'unico lato dei diversi pilastri, andando a definire un contesto che supporta, come unica fonte di movimento delle macerie, il corridoio del tramite e non altre direzioni?

Queste mie domande coinvolgono quindi l'aspetto dinamico di quanto avvenuto all'interno del Pentagono, in particolare il punto che voglio sottolineare è che all'interno del Pentagono abbiamo delle prove che le sollecitazioni scaricatesi sugli elementi strutturali non sono state di tipo solamente impulsivo, cioè legate ad un determinato istante temporale, ma si sono susseguite secondo un sistema di durata nel tempo, certamente in un periodo breve, ma molto più lungo di quello riferibile agli effetti di un'esplosione. 
Cercherò di spiegarmi meglio.

Osserviamo il tipo di deformazioni o di cedimento che hanno caratterizzato i diversi pilastri.


I pilastri che sono rimasti vincolati agli estremi nelle solette si sono curvati sotto l'effetto delle sollecitazioni di taglio.

E' logico che questo tipo di sollecitazioni, se dovute ad una esplosione, siano di tipo piano, perchè legate ad effetti barici e ad urti meccanici di oggetti lanciati dall'esplosione.
Vediamo pilastri che hanno curve continue, con frecce massime nel loro punto medio, non si notano discontinuità dovute ad effetti localizzati di singoli urti, ma si osserva l'effetto di una sollecitazione distribuita, come se fossero stati soggetti all'azione di un fluido, che con la sua pressione ha agito su di essi.

Altri pilastri sono invece stati completamente strappati dalla loro posizione già a livello dell'incastro nella soletta, come si può vedere nell'immagine che segue,

oppure sono stati letteralmente stracciati e abbattuti al suolo:


ma ci sono alcuni pilastri che mostrano delle deformazioni molto particolari, incompatibili con una singola esplosione.
Si tratta di pilastri che mostrano deformazioni con cosiddetta "curvatura tripla", come quello in immagine.

La teoria dell'esplosione non può giustificare la presenza di deformazioni di questo tipo, a meno che non si ipotizzino esplosioni avvenute in punti fra loro molto diversi ed in tempi diversi, tali da generare successivamente le deformazioni secondo assi diversi di sollecitazione, ma ciò, per tutto quanto abbiamo già visto, non si concilia in alcun modo con quanto avvenuto al Pentagono.

Si potrebbe allora obiettare che potremmo essere di fronte a deformazioni avvenute in tempi diversi e per cause diverse, per esempio una prima esplosione e poi un successivo incendio, ma verifiche fatte sulle stesse colonne del Pentagono hanno escluso questa ipotesi.
Nell'immagine che segue si vede il danno termico su una colonna del Pentagono e la deformazione non è nemmeno lontanamente confrontabile a quella osservata nell'immagine precedente..

A qusto punto del discorso è forse bene precisare che in questa mia analisi sto attribuendo un enorme vantaggio ai sostenitori delle teorie "no plane", perchè volutamente non sto considerando tutto ciò che è esterno al palazzo, quindi non considero i lampioni colpiti, il generatore, la presenza di rottami sia all'esterno che all'interno del Pentagono e, soprattutto, non sto considerando nè la presenza di una scatola nera, nè le vittime di AA77, passeggeri ed equipaggio, che sono state tutte identificate come tali.

Tenendo quindi ben presenti questi elementi, che da soli sono sufficienti ad eliminare ogni dubbio, proseguiamo allora nella nostra analisi dei danni al palazzo.

Consideriamo ora la facciata del Pentagono: non perdiamo tempo a parlare delle dimensioni del foro in facciata, perchè è evidente che chi sostiene la presenza di un unico foro di 3-5 metri racconta una panzana e non vale più nemmeno il caso di stare a confutare affermazioni che si smentiscono semplicemente con l'utilizzo di un righello.

Osserviamo invece immagini come questa:



Si tratta di un fotogramma che ho estratto dai soliti filmati girati all'interno del Pentagono 72 ore dopo l'attacco.
Come già spiegato, l'effetto di un'esplosione che avviene all'interno di un edificio proietta in tutte le direzioni i proiettili secondari ed è evidente che le finestre non sfuggono a questa regola.
Nell'immagine le finestre risultano divelte, ma queste non sono state proiettate verso l'esterno, anzi, dall'andamento delle rotture del muro si capisce che queste sono state colpite dall'esterno e proiettate all'interno del palazzo.

La certezza di questa affermazione ci giunge dall'osservare che la rottura del muro si allarga verso l'interno e non viceversa, per cui non c'è alcuna discussione in merito a ciò che è accaduto alle finestre: sono state colpite violentemente dall'esterno e proiettate all'interno del palazzo.

Vi ricordo che siamo nella zona del pilastro 6AA, cioè immediatamente a Nord della zona collassata, quindi, sapendo che la penetrazione di un missile è puntuale, come mostrato nelle immagini all'inizio di questo lungo post, come si conciliano questi fatti con l'ipotesi missile?
Non si conciliano, semplicemente, cioè l'ipotesi missile è ancora una volta contraddetta da precise prove, evidenze che i complottisti preferiscono non vedere. Ma non è finita.
Anche l'osservazione dell'esterno della facciata può dirci molto.

Se è vero, come è vero, che per dimostrare la veridicità di un'ipotesi servono molte prove ed indizi concomitanti e tutti concordi nel definire un quadro probatorio coerente, per dimostrare l'inconsitenza di un'ipotesi basta una sola evidenza che la contraddica.
Osservando la facciata del Pentagono, sono rimasto colpito da un particolare: si tratta della lesione della facciata che si colloca nella zona immediatamente a destra, osservando la facciata, della zona collassata.

La zona è questa:


In particolare, ritengo interessante la lesione che interessa il pilastro e l'annessa finestra alla sua destra.
Come si può vedere, la parte trasparente superiore risulta assente, mentre quella inferiore è ancora in posizione ma il serramento è pesantemente lesionato nella spalla sinistra con cui si connette al muro, essendo parzialmente divelto e rientrato all'interno del palazzo.


La particolare posizione del punto lesionato, sottosquadro rispetto alla zona di impatto di un ipotetico missile, ci dice che quel tipo di danneggiamento non è imputabile ad un fenomeno che sia avvenuto dall'interno verso l'esterno della facciata, perchè la zona lesionata è protetta verso l'interno dal vetro ancora in posizione, mentre il pilastro lo protegge dalla zona principale di impatto dell'ipotetico missile.

In nessun modo un danno in facciata di quel tipo può risultare compatibile con una azione che provenga dall'interno del palazzo e, meno che mai, da un effetto di una eventuale esplosione che avvenga qualche metro a sinistra della zona osservata.

Quella zona, però, è contigua ad un altro punto di sfondamento della facciata:


Osservando la facciata si può notare come la lesione si inserisca perfettamente in un contesto che delinea un danneggiamento esteso per svariati metri, che risulta invece compatibile con l'ipotesi dell'impatto dell'ala destra di un aeromobile della classe dimensionale di un Boeing 757/200.



A questo punto l'obiezione dei sostenitori di teorie alternative è perchè non si osservano rottami di grandi dimensioni dell'aereo, ma questa è un'altra questione che non è possibile affrontare qui, perchè merita uno spazio adeguato per essere trattata.

Solo a livello documentale, pubblico l'immagine di ciò che è stato recuperato del DC-9 I-TIGI dell'Itavia che il 27 giugno 1980 si inabissò al largo di Ustica.
Questo aereo non si è schiantato ad altissima velocità contro un edificio in cemento armato, non è bruciato, è precipitato in mare e ciò nonostante si osservino le dimensioni e la morfologia dei rottami.