"Materiale thermitico attivo" trovato nella polvere di Ground Zero?

di Enrico Manieri - Henry62
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AGGIORNAMENTO
del 28 aprile 2009

Dopo la pubblicazione dell'articolo originale, che trovate in coda a questo aggiornamento dell'ultima ora, apprendiamo in data odierna che la prof.ssa Marie-Paule Pileni , editor in chief (una sorta di redattore capo, responsabile del livello tecnico della pubblicazione) della rivista "Open Chemical Physics Journal" si è dimessa dal suo incarico, perchè l'articolo del prof. Harrit, prof. Jones e altri venne pubblicato a sua insaputa.
La notizia è stata battuta dal portale di informazione danese Videnskab, che ha anche contattato telefonicamente la signora per avere conferma.

La prof.ssa Pileni avrebbe commentato:

“Non posso accettare che quest'argomento sia pubblicato nella mia rivista. L'articolo non ha niente a che fare con la chimica fisica o la fisica chimica, e non faccio fatica a credere che ci sia una visione politica dietro la sua pubblicazione. Se qualcuno me l'avesse chiesto, avrei detto che l'articolo non avrebbe mai dovuto essere pubblicato in questa rivista. Punto e basta"

Si tratta di un clamoroso epilogo che certamente pone altri seri dubbi su tutta la vicenda.
Altre informazioni disponibili qui.

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Il dibattito relativo al crollo delle Torri Gemelle di New York, avvenuto a seguito dell'attacco terroristico dell'11 settembre 2001, è tornato in questi giorni a ravvivarsi, grazie ad uno studio pubblicato da una rivista americana.
Fra le firme di questo studio ci sono alcuni nomi già noti per aver fortemente sostenuto ipotesi "complottiste" in passato; nomi come quelli di Steven Jones e di Kevin Ryan sono ben noti per le loro posizioni estremiste sul coinvolgimento dell'amministrazione americana nell'attacco.
L'autore principale del documento, il chimico danese professor Niels Harrit, ha più volte dichiarato pubblicamente la sua visione non ortodossa dei fatti dell'11 settembre, sia in scritti che in interviste televisive.

Senza entrare nel merito di "chi" sostiene queste ipotesi, vorrei limitarmi a valutare le conclusioni e i fatti che vengono affermati dai ricercatori.
Analizzando della polvere di macerie prelevata da diversi siti di New York in prossimità di Ground Zero, gli autori sostengono di avere rinvenuto delle particolari particelle, caratterizzate dalla presenza di due strati aventi rispettivamente un colore rosso ed un colore grigio, uniti a creare una sorta di wafer.

L'analisi di questi strati ha evidenziato la presenza di elementi che sono visibili nei diagrammi di spettro.
Strato "rosso": presenza di Carbonio, Ossigeno, Ferro, Zinco, Alluminio, Calcio, Cromo, Silicio e Zolfo.
Se la presenza di Calcio e Zolfo potrebbe essere spiegata, secondo gli autori, dalla polvere generata dal gesso che era presente in grande quantità nelle Torri sotto forma di pannelli di cartongesso, gli altri elementi risultano essere sempre presenti in diverse analisi fatte sui quattro campioni studiati nel documento.
Da sottolineare, quindi la presenza costante di Carbonio, Ossigeno, Ferro, Alluminio e Silicio, mentre Cromo e Zinco sarebbero comunque presenti ma non è ben chiaro in quali campioni, visto che, nella didascalia dell'immagine che segue, la presenza di questi elementi viene segnalata, ma sembra in modo discontinuo. Lo strato "rosso" si presenta poroso, composto da particelle di diversa forma (sfaccettate e a lamelle), immerse in una matrice che le trattiene.
Le particelle sfaccettate risultano essere ricche di Ferro e Ossigeno (probabilmente cristalli), mentre quelle a lamina risultano ricche di Silicio ed Alluminio.
Il Carbonio non sembra essere presente in particolare nelle particelle, quanto invece distribuito nella matrice.



La zona porosa dello strato "rosso", analizzata dopo un energico bagno in un solvente, mostra invece la presenza di Ossigeno e Silicio, oltre che Carbonio e Ferro.


Interfaccia fra strato "rosso" e strato "grigio": l'analisi di spettro di questa zona di separazione fra i due strati mostra la presenza di Ossigeno e Carbonio.


Strato "grigio": in questo strato si ritrovano Carbonio, Ossigeno e Ferro. L'analisi di immagini BSE (BackScattered Electron) di questo strato "grigio" evidenzia tonalità più chiare rispetto a quelle dello strato "rosso" e ciò significa che lo strato "rosso" è composto da materia avente numero atomico mediamente più basso di quello "grigio".
Le fotografie fatte al microscopio ottico ed elettronico dimostrano anche che lo strato "rosso" ha una granulometria maggiore di quello "grigio", con porosità evidenti e manifeste eterogeneità, in netto contrasto con la compattezza dello strato "grigio".
Sia lo strato "grigio" che quello "rosso" risultano sensibili al campo magnetico.
In pratica, i due strati, nonostante l'aspetto ed il colore diverso, risultano avere composizione chimica estremamente simile, in particolare lo strato "rosso" risulta avere una matrice ricca di Carbonio che incorpora particelle dall'aspetto cristallino, ricche di Ossigeno e Ferro, e altre dall'aspetto di lamina, ricche di Silicio ed Alluminio (pagina 15 dello studio).

. - L'USO DEL METIL-ETIL-CHETONE (MEK) - .

Gli autori hanno sottoposto alcuni campioni di queste particelle ad immersione in un bagno di Meti-Etil-Chetone (MEK) per 55 ore, con l'intento di separare gli elementi dello strato "rosso", ottenendo, a loro dire, come risultato, oltre ad un notevole rigonfiamento della matrice dello strato "rosso", anche una segregazione dell'Alluminio, dimostrando, sempre secondo loro, la presenza di Alluminio in forma elementare.
Da una ricerca su Internet, però, è facile vedere che è ben nota la reattività del MEK con i metalli leggeri, in particolare proprio con l'Alluminio, per cui molti documenti riportano l'avvertenza nelle schede tecniche:

"Il metiletilchetone reagisce con i metalli leggeri, tipo l'alluminio, e con ossidanti forti; attacca diversi tipi di plastica."

Se l'intento dei ricercatori era quello di demolire la matrice carboniosa dello strato "rosso" per consentire un'analisi delle nano-particelle in essa trattenute, il risultato relativo alla presenza di Alluminio non sembra essere in linea con quanto desiderato, dato che è assodato che il MEK potrebbe reagire più o meno violentemente con l'Alluminio in forma elementare.
Si tratterebbe quindi di un errore metodologico piuttosto importante da parte dei ricercatori, dato che si effettua una prova che potrebbe portare a risultati aleatori al verificarsi o meno di condizioni adatte di temperatura per l'innesco di reazioni chimiche.
La conclusione logica è che si dovrebbe quindi ipotizzare l'esatto opposto di quanto affermato nello studio, cioè l'assenza di Alluminio elementare nel composto e la sua presenza in legami chimici, oppure la presenza di Alluminio elementare ma in condizioni di forte ossidazione, quindi poco reattivo.

Da un punto di vista merceologico, il MEK viene venduto per i seguenti usi:

"Metiletilchetone
Utilizzato come sostitutivo dell'acetone quando è necessario l'impiego di un solvente meno volatile, il metiletilchetone scioglie gommalacca, colofonia, resine cellulosiche, resine epossidiche, molte resine fenoliche e acriliche, polistirolo ecc.
E' un componente delle vernici viniliche e alla nitrocellulosa.
Il metiletilchetone è adatto anche per la pulizia di strumenti, attrezzi e lavaggio di parti meccaniche da impurità e prodotti chimici."

Qui è disponibile una scheda tecnica del prodotto.
Tornando all'analisi dello strato "rosso", le particelle ricche di Ferro mostrano una contemporanea ricchezza di Ossigeno, secondo la proporzione 2 a 3 fra Ferro ed Ossigeno.
Ciò significa che queste particelle sono Fe2O3, cioè Ossido Ferrico: la contemporanea presenza di Ossido Ferrico e Alluminio elementare porta quindi gli autori a concludere che si tratti di thermite, ma abbiamo visto che la presenza di Alluminio metallico reattivo non è affatto priva di dubbi...
Mi sia consentito quindi di nutrire dei legittimi dubbi a fronte di questa conclusione forzata e in contrasto con quanto le regole della Chimica ci dicono; secondo gli autori avremmo delle nano-particelle di Alluminio elementare, che tanto reattive non dovrebbero essere se si mantengono tali dopo 55 ore di permanenza in un bagno di Metil-Etil-Chetone (cioè, si deduce, dovrebbero essere circondate da uno strato compatto di Ossido di Alluminio, materiale che resiste a temperature elevatissime ed è caratterizzato da elevata durezza), ma che reagiscono violentemente già a soli 430°C per innescare una reazione thermitica.
A supporto delle loro conclusioni, nello studio gli autori presentano grafici di analisi spettrali di diversi campioni:
- prodotti di combustione di thermite commerciale;

- particelle sferoidali rinvenute nella polvere di Ground Zero a distanza di tempo dal crollo e dopo che erano iniziati i lavori di demolizione e sgombero delle macerie;

E' evidente il tentativo di suggestionare il lettore meno accorto, suggerendo esplicitamente l'analogia fra i campioni analizzati ed i prodotti della reazione thermitica, senza indagare se uno spettro analogo potrebbe essere dovuto ad altre cause e reazioni.
In altre parole, sull'errata valutazione della presenza di Alluminio elementare molto reattivo, gli autori saltano immediatamente alla conclusione, evidentemente molto desiderata, che nel crollo del WTC sia coinvolta una sorta di reazione thermitica di un fantomatico prodotto che si innesca a bassa temperatura, fornisce il doppio dell'energia della normale thermite e che è caratterizzato dalla presenza di nano-particelle che conferirebbero caratteristiche esplodenti ad una sostanza altrimenti da considerarsi come solamente incendiaria.
Affermazioni forti, che per essere sostenute necessitano di prove altrettanto forti e non di suggestioni.
Vediamo allora di valutare l'aspetto energetico.
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- ANALISI TERMICA DSC EFFETTUATA IN ARIA -

Gli autori analizzano il comportamento dei campioni al riscaldamento in aria in un calorimetro a scansione differenziale (DSC).
Il risultato è che tutti i campioni iniziano a bruciare nel range di temperatura di 415-435°C.
In taluni casi, il calore sviluppato dalla reazione esotermica raggiunge i 7,5 KJ/g.
Dopo la combustione, nei residui combusti, di aspetto poroso, vengono rinvenute delle particelle sferoidali, alcune ricche di Ferro, mentre altre sono ricche di Silicio (di aspetto trasparente e translucido), testimoni del raggiungimento di temperature elevate frutto di una qualche reazione chimica, non meglio precisata (inizia a 430°C !) ma che secondo gli autori non può che essere thermitica.
In particolare quindi, sempre secondo gli autori (pagina 22 del documento), a soli 430°C si sarebbe innescata una reazione altamente esotermica, tale da sviluppare temperature di circa 1.400°C, necessarie per portare a fusione il Ferro e l'Ossido Ferrico.
Quale sia questa reazione thermitica che si innesca a 430°C non ci è dato di saperlo, dato che la temperatura di accensione della thermite commerciale è superiore ai 900°C.
Ci si dimentica però che nella matrice dello strato "rosso" c'è grande abbondanza di Carbonio e che il Carbonio ha un potere calorifico inferiore pari a ben 34,03 KJ/g (si ricorda che la thermite libera nella combustione 3,9 KJ/g), cioè un grammo di Carbonio libera nella combustione a pressione costante più di otto volte l'energia che libera un grammo di thermite.
Dato che la misurazione è stata effettuata in aria (e mi chiedo perché? Non è questo un altro errore metodologico piuttosto imbarazzante degli autori, dopo quello del MEK?) non è affatto possibile escludere la combustione del Carbonio, che invece è molto probabile.
Per avere delle certezze, visto che la thermite non necessita di comburente dall'ambiente esterno, la misurazione DSC avrebbe dovuto essere condotta in ambiente di gas inerte (Azoto o Argon).
 
Le conclusioni dello studio sono ovviamente a favore delle ipotesi "alternative", cioè ventilano l'ipotesi che l'11 settembre 2001 venne utilizzata nelle Torri Gemelle una sostanza a base di nanothermite, applicata non si sa bene come, dove, quando e da chi, ma comunque in grado di provocare il crollo dei due colossi d'acciaio e del più piccolo WTC7. Di seguito riporto le conclusioni così come compaiono nell'articolo:




- OSSERVAZIONI -

Fin qui il documento che possiamo ormai definire "complottista" nelle sue conclusioni; ora vorrei fare qualche riflessione e vedere se potrebbero esistere altre ipotesi di lavoro che andrebbero valutate prima di giungere alle affrettate conclusioni dello studio appena pubblicato.
La mia memoria è andata ad immagini come queste:
 
Si tratta di elementi conservati dal Nist dell'acciaio strutturale che costituiva lo scheletro delle Torri Gemelle.


Parlando di costruzioni completamente in acciaio, realizzate in ambiente salmastro, una delle principali preoccupazioni dei costruttori fu quella di proteggere adeguatamente dalla corrosione l'acciaio, definendo elevati standard qualitativi per la realizzazione della pitturazione protettiva.
Presento alcuni documenti relativi agli standard concordati dalla Port Authority, proprietaria delle Torri Gemelle, con i fornitori per la realizzazione della verniciatura anticorrosione (fonte: Nist NCSTAR 1-6A, pagina 302 e seguenti):

 
Da questi documenti e da altri presentati nel report definitivo del Nist, è possibile risalire alle modalità di realizzazione della verniciatura antiruggine e ai test di verifica della qualità (fonte: Nist NCSTAR 1-1A, pag. 146):


Molto importante è allora conoscere la composizione chimica della vernice utilizzata, che era la seguente (fonte: Nist, NCSTAR 1-3C, pagina 147 e seguenti, "Appendix D - Forensic thermometry tecnique development"):


dove scopriamo che in una base sostanzialmente oleosa (olio di semi di lino) e resinosa (resina alchidica), erano presenti come pigmento una miscela delle seguenti sostanze:
La farina fossile è un opacizzante (costituito essenzialmente da Biossido di Silicio, Ossido di Alluminio, Ossido Ferrico e altre impurità) aggiunto alla vernice per dare una finitura opaca e consistenza ruvida alla vernice essiccata, in modo da fungere da aggrappante per le successive finiture antincendio da applicarsi a spruzzo.
La base resinosa ed oleosa, essiccata, potrebbe essere la matrice organica che costituisce la base dello strato "rosso", ricca di Carbonio, che, come abbiamo visto, potrebbe avere un ruolo centrale nella liberazione di energia durante il processo di combustione.

In pratica lo strato "rosso" dei wafer individuati dai ricercatori contiene esattamente gli stessi elementi che ora sappiamo essere presenti nella vernice antiruggine utilizzata in fase di costruzione del WTC, compresa la base organica costituita da olio di semi di lino e resina alchidica!

Non solo sono presenti gli stessi elementi chimici, ma persino la presenza di farina fossile nella vernice è compatibile con la porosità riscontrata nei campioni dello strato "rosso"; se poi consideriamo che nella farina fossile è spesso presente anche la Mica, allora potrebbe trovare spiegazione anche la presenza delle particelle a forma di lamina miste a quelle cristalline dell'Ossido Ferrico.
Lo strato "grigio", che ricordiamo essere ricco di Ferro e Ossigeno, potrebbe essere riconducibile ad una vernice anticorrosione verde (Tnemec Green Metal Primer, pag. 303), utilizzata ampiamente per realizzare le marchiature sull'acciaio ed espressamente prevista nei capitolati di fornitura dei materiali, o a qualche tipo di adesivo utilizzato nei lavori di costruzione per fissare elementi di isolamento termo-acustico.
Resta ora da valutare la possibilità che questo tipo di vernice possa staccarsi, determinando le piccole scaglie trovate nella polvere di Ground Zero. Ricordando le immagini a documentazione della ricerca effettuata dal Nist per determinare la temperatura cui furono esposte le colonne perimetrali delle Torri Gemelle, allego alcune immagini in cui si vede il comportamento della vernice anticorrosione utilizzata nel WTC quando viene sottoposta al calore:


Da queste immagini si vede che la vernice, sottoposta a temperature superiori a 250°C, inizia a rompersi secondo schemi irregolari, potendosi staccare dalle superfici se sottoposta ad urti; per temperature di molto superiori ai 250°C, quindi, la vernice si stacca completamente dal supporto e si ha la combustione della componente organica, che determina il distacco completo dall'acciaio e la contemporanea creazione di uno strato di residui combusti di colore scuro.
Questo risultato è compatibile con quanto riportato nel documento, infatti gli autori scrivono:
"Several paint samples were also tested and in each case, the paint sample was immediately reduced to fragile ashes by the hot flame. This was not the case, however, with any of the red/gray chips from the World Trade Center dust."

Nel caso della vernice anticorrosione utilizzata nel WTC, sottoposta durante il test fatto dal Nist alla temperatura di 650°C per un'ora, si è verificata la combustione della matrice organica, ma la vernice non è stata ridotta in cenere.

Ricordando poi come era effettuata la protezione passiva antincendio delle colonne perimetrali, si può notare che la faccia interna delle numerosissime colonne della facciata era protetta da pannelli di vermiculite, cioè da pannelli di un aggregato leggero composto da un Fillosilicato di Magnesio, Ferro trivalente ed Alluminio, generalmente rinvenibile sotto forma di particelle a lamina.
La vermiculite utilizzata in edilizia è ottenuta per cottura di rocce micacee ed è utilizzata come isolante termico ed acustico.
Ricordo che la mica è un insieme di sostanze chimiche aventi le seguenti caratteristiche chimiche:
"Classificazione delle miche.
Le miche possiedono formula chimica generale

X2Y4-6Z8O20(OH,F)4
dove
  • X rappresenta K, Na, Ca o meno comunemente Ba, Rb, o Cs
  • Y rappresenta Al, Mg, Fe o meno comunemente Mn, Cr, Ti, Li, ecc.
  • Z rappresenta principalmente Si o Al ma può essere anche Fe3+ o Ti
Strutturalmente le miche possono essere classificate come di-ottaedriche (Y = 4) e tri-ottaedriche (Y = 6). Inoltre se lo ione X è K o Na la mica viene detta mica comune, mentre se lo ione X è rappresentato da Ca la mica è classificata come mica fragile."

 
Questi pannelli erano incollati con adesivo alla faccia interna delle colonne, a diretto contatto con la vernice anticorrosione.
La vermiculite non ha praticamente resistenza strutturale ed il suo impiego è limitato alla realizzazione di lavori di isolamento termico-acustico: sottoposta ad urti, questa si rompe cadendo in pezzi.
All'interno delle Torri Gemelle erano presenti quantità enormi di vermiculite a diretto contatto, tramite adesivi, con la faccia verniciata delle colonne perimetrali, ma non risulta che i ricercatori firmatari dello studio abbiano considerato e correttamente investigato questa eventualità prima di parlare di residui di "materiale thermitico attivo" nella polvere di Ground Zero.
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