I materiali compositi sono caratterizzati da grande leggerezza e buona resistenza all'erosione, mentre non hanno caratteristiche meccaniche significative per la resistenza agli urti.
Chiariti questi aspetti, che da tempo desideravo esporre in maniera organica, credo sia venuto il momento di analizzare una questione che mi sta molto a cuore.
Questo argomento viene ormai invocato da chi sostiene le teorie "alternative" come una prova che al Pentagono non si è schiantato un Boeing 757, e riguarda l'impronta di impatto dello stabilizzatore verticale, quello che normalmente chiamiamo timone dell'aereo o deriva.
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Impronta di impatto dello stabilizzatore verticale del Boeing 757
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L'immagine che segue, trovata in rete, fornisce un'idea dell'ingombro dello stabilizzatore verticale del Boeing 757 in confronto alle dimensioni della facciata del Pentagono.
La punta superiore dello stabilizzatore viene a collocarsi all'altezza della parte inferiore delle finestre del quarto piano (notazione americana, in Italia sarebbe il terzo piano).
Come detto, molto spesso viene posta provocatoriamente la domanda di mostrare dove sia il danno prodotto da questa parte dell'aeroplano, visto che la facciata dell'edificio, nella porzione verticale sovrastante il foro di ingresso della fusoliera, non presenta segni apparenti di impatto.
Il noto complottista Killtown mi pose, recentemente, la fatidica domanda durante una discussione sul forum di Loose Change. Ho deciso quindi di affrontare questo argomento e lascio a voi giudicare la validità di quanto mi accingo ad esporre.
Per affrontare l'analisi delle tracce di impatto, è necessario capire come sia fatto lo stabilizzatore verticale ed il timone di un Boeing 757.
Come ho già accennato, il rudder, cioè il timone vero e proprio (la parte mobile verticale), è realizzato integralmente in materiale composito (graphite-epoxy materials) e non ha caratteristiche meccaniche tali da poter produrre un danneggiamento impattando contro una struttura in pietra come quella che costituiva la parte più esterna della facciata del Pentagono.
Lo stabilizzatore verticale (la parte fissa) è invece costituito da una struttura portante formata da una travatura centrale e da elementi di raccordo ed irrobustimento, che supportano il rivestimento esterno costituito da pannelli in lega leggera.
Nello schema che segue, che ho colorato per meglio evidenziare i componenti, la travatura in questione è quella blu.
Volendo semplificare molto, la struttura dello stabilizzatore verticale è del tutto simile a quella di un'ala, posta in verticale, perfettamente simmetrica sui due lati.
Lo stabilizzatore verticale del Bo757 è quindi un elemento essenzialmente cavo, costituito da una esigua struttura centrale in lega leggera rivestita da pannelli in lega di alluminio.
Questa pinna verticale è tenuta in posizione da elementi di forza che, a loro volta, si raccordano a punti di resistenza vincolati alla scatolatura di irrigidimento dell'impennaggio orizzontale di coda.
In queste fotografie, in cui sono stati rimossi alcuni pannelli di rivestimento esterno, si può apprezzare l'interno dello stabilizzatore verticale di un Boeing 737, simile come costruzione strutturale a quello del più grande Boeing 757.
A mio parere davvero interessanti sono queste altre immagini, piuttosto inusuali e rare a trovarsi, che mostrano i lavori di rottamazione di un Boeing 757.
Nella prima si vede l'asportazione dell'intero stabilizzatore verticale e la tipica rottura che viene a crearsi in prossimità della fusoliera quando la pinna verticale è sottoposta ad un urto o ad una forte sollecitazione di flessione laterale.
Nella seconda invece è posto in evidenza il complesso di irrobustimento dello stabilizzatore orizzontale (caduto a terra in seguito al taglio della fusoliera), normalmente impossibile a vedersi perchè racchiuso nella parte più interna della coda della fusoliera.
All'interno dello stabilizzatore verticale trovano posto i tre attuatori che comandano il movimento del timone (sono i tre elementi colorati in rosso che si possono vedere nello schema precedente, posizionati nella metà inferiore della pinna verticale). Questi attuatori sono gli unici elementi ad essere realizzati in metalli pesanti e hanno una elevata densità sezionale: in caso di urto di forte intensità, questi elementi tendono a distaccarsi e nel loro moto contribuiscono dall'interno alla demolizione della struttura resistente. Avendo le idee più chiare su come è fatto lo stabilizzatore verticale, è necessario ora valutare la dinamica dell'impatto per capire dove andare a cercare la traccia eventualmente lasciata dallo stabilizzatore verticale.
L'aereo colpì il palazzo provenendo da una traiettoria inclinata, nel piano orizzontale da destra verso sinistra, e nel piano verticale con l'ala destra più alta della sinistra.
Nel piano verticale lo stabilizzatore ruota perciò in senso antiorario, mentre nel piano orizzontale la composizione del moto di oggetti che impattano in tempi successivi comporta un ulteriore piccolo shift verso sinistra.
Per questo motivo è del tutto errato cercare danni sulla verticale del punto di impatto della fusoliera.
E' importante invece evidenziare che il contatto avviene fra la facciata e la parete destra dello stabilizzatore verticale, per cui il vertical fin viene colpito nella sua zona meno resistente agli urti e, allo stesso tempo, in maniera tale da determinare una insostenibile flessione accompagnata da avanzamento verso la facciata.
In pratica si crea uno sfregamento progressivo, più che un vero urto, il tutto in millesimi di secondo.
Questa dinamica comporta che i danni sulla facciata non possano che essere degli sfregamenti superficiali, dovuti alla destrutturazione delle parti in lega leggera e composito, frammisti a zone di area molto limitata di maggior danneggiamento create dall'impatto degli attuatori e degli elementi di maggior resistenza.
Non si deve dimenticare poi che l'entrata della fusoliera nel palazzo, con la creazione di un foro in cui la fusoliera si è completamente infilata fino alla coda, ha creato una sorta di guida (una specie di imbuto, per dirla in termini molto più terra terra), in cui il bordo superiore del foro ha praticamente distrutto tutto ciò che, progressivamente con la penetrazione/destrutturazione della fusoliera, arrivava ad impattare (anche in virtù dell'inclinazione della traiettoria dell'aereo nel piano verticale).
In questo meccanismo un ruolo fondamentale è dovuto alla soletta fra il primo ed il secondo piano (notazione americana).
Quindi la deriva verticale ha impattato in modo tale da creare una eventuale traccia che, rispetto al punto di impatto, deve:
- avere origine nel punto di impatto della fusoliera;
- avere andamento rettilineo o solo leggermente curvo, con curvatura maggiore per il tratto più distante dal punto di origine;
- essere ruotata sulla facciata in senso antiorario.
Vediamo allora l'immagine della facciata prima del suo crollo, avvenuto una quarantina di minuti circa dopo l'impatto.
Su questa immagine possiamo individuare due punti di riferimento ben precisi, che identifico nelle finestre marcate con i numeri 1 e 2. La finestra 1 si colloca al quarto piano del Pentagono, la finestra 2 al terzo piano (sempre utilizzando la notazione americana).
Il punto di impatto si trova nascosto dal getto dell'idrante e queste finestre, rispetto al punto di impatto, si collocano a sinistra.
Osservando un ingrandimento, si vede che nella zona delimitata dalla linee gialle, sono presenti dei danni che nel loro insieme rispondono alle tre condizioni prima elencate, cioè danni disposti su una traccia sostanzialmente rettilinea, che ha origine nel punto di impatto e ruotata rispetto ad esso in senso antiorario.
Inoltre, i danni sono presenti con tali caratteristiche solamente in quella zona, dato che all'esterno delle linee gialle non si vedono danni da impatto (le fratture oblique del rivestimento sono dovute non ad impatti, ma al cedimento verticale della facciata, come facilmente verificabile osservando la zona del cornicione della facciata in prossimità del giunto di dilatazione dell'edificio).
E' mia opinione che quella individuata sia la traccia di impatto dello stabilizzatore verticale e l'osservazione del particolare dei danni subiti dalla parete (non consideriamo le superfici trasparenti, che pure potrebbero dirci qualcosa...) delle due finestre mi conferma nella deduzione.
L'altezza dal suolo della finestra 1 la colloca nella zona colpita dalla parte superiore dei rottami della deriva, strutturalmente molto meno robusta, mentre la zona intermedia e, soprattutto, la finestra 2 rientrano nella zona direttamente interessata da urti di maggior importanza.
La finestra 1 ha le superfici trasparenti integre, con danni prodotti per effetto termico, e presenta evidenti rotture dello spigolo sinistro, mentre il destro risulta del tutto privo di danneggiamenti.
I danni evidenziati non possono essere stati prodotti che da un impatto dall'esterno verso l'interno dell'edificio.
La finestra 2 risulta danneggiata sullo spigolo esterno destro, dove un'ampia zona di spalla risulta mancante, le superfici trasparenti sembrano del tutto assenti e, soprattutto, il danno è chiaramente stato inferto dall'esterno verso l'interno e da destra verso sinistra.
Riassumendo, non è vero che non ci siano danni riferiti alla presenza dello stabilizzatore verticale, ma questi sono presenti e hanno specifiche caratteristiche che rendono molto difficile attribuire ad altra natura la loro origine.
A mio personalissimo parere, credo di avere fornito sufficienti indizi per poter affermare che è stata dimostrata l'inconsistenza di un'altra "pseudo-prova" complottista, cioè che il Pentagono non sia stato colpito da un Bo757 perche non vi sono tracce dell'impatto della deriva verticale.
Nell'immagine che segue, composta da tre immagini tratte da tre diverse fotografie di partenza, che riprendono la stessa zona, sintetizzo la mia ipotesi in merito a questa traccia.
La qualità del materiale fotografico a disposizione non consente di fare altre osservazioni che abbiano un sufficiente grado di affidabilità, ma la presenza di una netta variazione cromatica della superficie della facciata in coincidenza della zona individuata è un altro fattore da approfondire, nel caso divengano disponibili immagini di maggior definizione.
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Nota:
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Si ringrazia per la cortese collaborazione il professor Leonardo Lecce, docente ordinario di Strutture Aeronautiche, direttore dal novembre 2000 del Dipartimento di Progettazione Aeronautica dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II", e l'ingegnere Fabrizio Nicolosi, ricercatore presso il medesimo Dipartimento.
Ovviamente, quanto scrivo è solamente il mio pensiero e non rappresenta necessariamente l'opinione delle persone citate.